Il Duomo è conosciuto anche come Cattedrale di San Matteo, perché nella cripta custodisce le reliquie dell’evangelista. È il principale luogo di culto cattolico in città. Realizzato in stile romanico nell’XI secolo, vanta un campanile con otto grandi campane che è un esempio dello stile arabo-normanno. La sua costruzione si deve in particolar modo a due avvenimenti importanti: la traslazione delle spoglie di San Matteo da Capaccio-Paestum a Salerno e la conquista della città nel 1075 da parte del Duca normanno Roberto di Altavilla, detto il Guiscardo, che mise fine al principato longobardo durato 237 anni.

Il Complesso della Chiesa dell’Addolorata e del Monastero di Santa Sofia ha una storia antica. Il monastero risale come fondazione al IX secolo e quindi è di origine longobarda. Dopo varie vicissitudini, nel 1500 a Salerno arrivano i gesuiti e si insediano nel monastero, edificando la chiesa nelle forme in cui oggi la vediamo. La bella scalinata che dà accesso alla chiesa, è la prova dell’intento scenografico caratteristico della Controriforma e della vocazione alla rappresentazione sacra dei Gesuiti. Oggi la chiesa è adibita a luogo di eventi culturali e di esposizione. L’interno è arricchito da dipinti murali del XVI e XVII secolo.

Il rione dei Barbuti è di origine longobarda, caratterizzato da un tortuoso intrecciarsi di vicoli e piccoli slarghi suggestivi. Si raggiunge da via Tasso, scendendo le scalette nel tufo, oppure dalla vicina via Botteghelle. Il rione prende il nome dalla lunga barba tipica dei guerrieri longobardi che vissero in città. L’area comprende via delle Botteghelle, via dei Canali, via Roma e via Tasso. Il periodo di massimo splendore del quartiere fu durante il XIII secolo quando via dei Mercanti era fulcro del commercio cittadino e sede di numerose botteghe tra cui la Ruga Speciarorum, sede della bottega degli speziali.

Il Convitto occupa l’area su cui sorgeva il Monastero femminile di Santa Maria Maddalena. Se ne ignora con precisione l’anno di fondazione ma la denominazione 2S. Maria de Domino Sicone2 che compare minutata al margine della bolla di Nicolà V nel 1453 ne ha fatto ipotizzare la fondazione da parte di questo Principe che resse Salerno dall’817 all’832. Secondo altri, invece, la fondazione è da riportarsi all’ultimo periodo normanno o svevo e la denominazione riportata dal minutante è da attribuirsi al Monastero di S. Maria Maddalena. Il Convitto Nazionale “Torquato Tasso” fu istituito con Decreto del 7 novembre 1811 dal Re delle Due Sicilie Gioacchino Murat. Il Collegio assurse poi a Real Liceo grazie all’interessamento del salernitano Matteo Galdi, a quel tempo Direttore Generale della Pubblica Istruzione, e il 1 febbraio 1813, con un terzo decreto, gli fu associato un educatorio. Fino al 1860 il Convitto fu retto dai Padri Gesuiti ed in esso vennero attivate le cattedre universitarie di medicina, chimica e farmacia, ostetricia e materie giuridiche che furono abolite nel 1861.

Il Museo diocesano è senza dubbio il più importante contenitore di opere d’arte di Salerno. La sede attuale non è quella originaria, ma corrisponde al recupero della struttura del Seminario Diocesano, che, con la Biblioteca e l’Archivio, costituisce un grande polo culturale della città e della provincia. L’attuale configurazione dell’edificio corrisponde ai lavori fatti eseguire nel 1832 dall’arcivescovo Lupoli. Il patrimonio artistico del Museo comprende opere che vanno dal Medioevo al XX secolo, tra cui gli avori salernitani che costituiscono la più vasta e completa raccolta di tavolette eburne istoriate del Medioevo (prima metà del XII sec.) cristiano esistente al mondo. Si tratta di 67 pezzi, di cui 37 illustrati con scene dell’Antico e Nuovo Testamento. Sembra che facessero parte di un paliotto d’altare. Della raccolta mancano notizie nei secoli medievali. Il primo cenno risale al 1510, mentre solo al 1575 risale il primo elenco. Da segnalare, poi, un rotolo miniato dell’Exultet, una Croce dipinta (detta del Barliario), degli inizi del XIII secolo, la Croce lignea (detta di Roberto il Guiscardo), una ricca raccolta di tempere su tavole del XIV, XV, e XVI secolo e alcune tele di scuola caravaggesca donate dal Marchese Giovanni Ruggi D’Aragona nel 1870 alla Cattedrale di Salerno.

Il Complesso di San Pietro a Corte, con la Cappella Palatina nel Palazzo di Arechi, è il monumento che presenta, come un palinsesto, tante importanti fasi della storia salernitana, dai romani al Cinquecento. La Cappella Palatina di San Pietro a Corte venne edificata per volontà del principe Arechi II, tra il 758 e il 787, all’interno di un preciso programma politico, secondo il quale il principe riteneva necessario fornirsi di una seconda città ben fortificata oltre a Benevento, capitale del Ducato. La costruzione del palatium e della chiesa coinvolse un edificio termale romano, attivo tra il I e il III secolo. La cappella, collegata al palazzo da un loggiato, fu sovrapposta all’aula di un grande frigidarium, in parte già riutilizzato in età paleocristiana come luogo di culto e sepolcreto. Nel XIII secolo la chiesa venne utilizzata per pubbliche cerimonie, tra cui il conferimento delle lauree della Scuola Medica Salernitana. Dal Cinquecento all’Ottocento la chiesa, con alterne vicende, venne contesa tra gli abati di San Pietro a Corte e gli arcivescovi salernitani. Con la legislazione del 1867, la badia venne soppressa. Nel 1881 i principi Pignatelli vendettero l’immobile alla confraternita dell’Immacolata Concezione, estintasi la quale, la chiesa passò nel 1938 alla confraternita di Santo Stefano, da cui prese anche il nome.

L’antico Monastero di San Benedetto si trova sul piccolo altopiano denominato Orto Magno. Fondata nel VII-IX secolo, la sua chiesa venne probabilmente ampliata per volontà di Alfano, abate di San Benedetto, in occasione della sua elezione ad arcivescovo di Salerno nel 1057. L’atrio del monastero e Castel Terracena sono fondati sulle fortificazioni longobarde di Arechi II della seconda metà dell’VIII secolo.
Alla chiesa si accede attraverso l’ala, dell’XI secolo, di un quadriportico, ormai visibile solo in parte. Ne restano tre archi a tutto sesto, poggianti su quattro colonne con capitelli corinzi.
La chiesa, che oggi vediamo, risale al X-XI secolo, ed è frutto del restauro effettuato negli anni ’80. La basilica è a tre navate divise da colonne di spoglio di epoca romana e pilastri raccordati da archi a tutto sesto. La navata centrale termina in un’ampia abside semicircolare. Lo stile predominante è il romanico, ma al centro della chiesa si aprono tre arcate più ampie poggianti su pilastri, di epoca barocca, e, al di sopra, si apre un grande arco in mattoncelle romane, non datato, che manifesta la volontà di ampliare la chiesa per trasformarla in pianta a croce latina. All’estremità nord della navata ovest c’è una cappella barocca, del XVIII secolo, coperta a cupola e culminante in un lanternino.

Fondato da Gioacchino Murat nel 1811, venne ospitato, con annesso convitto, nel soppresso Convento della Maddalena. Dopo oltre un secolo, per effetto della legge del 6 marzo 1923, il Liceo-Ginnasio, che nel frattempo aveva cambiato parecchie volte nome e ordinamento, si separò dal Convitto Nazionale. La separazione, però, fu solo amministrativa, in quanto l’istituto, previo pagamento del fitto, continuò ad occupare i locali del vecchio convento, in attesa che il Comune provvedesse a fornirgli una nuova sede. La sede del “Tasso” ha vissuto vicende costruttive molto complesse e singolari, che ebbero inizio nel 1925, quando il preside Giuseppe Zito propose all’Amministrazione Comunale dell’epoca la costruzione dell’edificio. Il preside proponeva di costruire l’edificio su una delle aree di espansione della città, regolata dal piano Donzelli-Cavaccini, da poco approvato. Il progetto venne approntato in brevissimo tempo, tanto che nel 1929 era già al vaglio dei tecnici per l’approvazione. Una volta approvato il progetto, però, il Commissario Prefettizio, Felice Valente, «…in opposizione dei patti e della consuetudine…» affidò la direzione dei lavori all’Ufficio Tecnico del Comune, guidato, all’epoca, da Camillo Guerra. Lo stravolgimento dell’opera non venne accettato dal Provveditorato alle Opere Pubbliche della Campania, che richiese, per quelle modifiche, un nuovo progetto. Intanto i lavori di preparazione del sito erano iniziati, ed un nuovo elaborato ne avrebbe provocato la sospensione e di conseguenza allungato i tempi di esecuzione e di consegna dell’edificio. Per questo motivo il Commissario Prefettizio, Antonio Antonucci, subentrato al Valente nella guida dell’Amministrazione cittadina «vincendo le resistenze dell’ufficio tecnico…» concesse la direzione dei lavori agli ingegneri De Angelis, chiudendo anche la «…lite giudiziaria per danni morali e materiali…» che i progettisti avevano intrapreso. Gli ingegneri De Angelis ripresero il loro progetto, ma non riuscirono a riportare l’edificio sull’area originaria; pertanto dovettero costruirlo di fronte al Convento dei Francescani (dove attualmente è ubicato), risolvendo quella “alterazione planimetrica” del suolo con la costruzione di un altro piano, oltre quelli previsti dal progetto originario.

Come si legge sul sito di Arcan Salerno, l’idea di dare vita all’Archivio dell’Architettura Contemporanea è nata sul finire del 2007 come risultato della grande stagione di recupero urbanistico della città di Salerno. L’intento era dare un giusto luogo in cui testimoniare, attraverso documenti cartacei, multimediali e l’esposizione di plastici, il passaggio in città di alcune tra le principali firme dell’architettura contemporanea, oltre a quelli che sono i progetti più significativi realizzati dai progettisti locali impegnati nell’attuazione degli interventi previsti dal nuovo piano urbanistico comunale. Realizzato d’intesa con la Soprintendenza ai Beni Culturali, ente presieduto all’epoca dall’architetto Giuseppe Zampino, l’Archivio è stato sede del Museo del Falso. Attualmente ospita alcuni progetti culturali, l’ultimo è stato il Pessoa Luna Park.

Il palazzo fu costruito nel corso del XIII secolo. Alcuni studiosi lo ritennero la reggia longobarda, altri un semplice edificio di pregio di età medioevale e altri ancora un rifacimento di epoca sveva del palazzo di Arechi II. Al 1738 risale un documento notarile che descrive l’edificio, allorquando fu ceduto in enfiteusi a Bartolomeo Longo dal Capitolo della Cattedrale. Un primo restauro alla struttura vi fu negli anni Cinquanta a opera di Giorgio Rosi, che introdusse alcuni elementi mancanti (come le colonne decorative del secondo livello). Nel 1967 il palazzo fu espropriato alla famiglia Fruscione (da cui prende il nome) e solamente nel 2009 sono iniziati i lavori di restauro sotto la direzione dell’architetto Mario dell’Acqua e con la collaborazione, per quanto riguarda la parte archeologica e storica, del professor Paolo Peduto. Nel corso degli ultimi lavori è stato eliminato il quarto livello aggiunto nel XIX secolo al fine di consolidare l’interno.

La chiesa di San Sebastiano del Monte dei Morti di largo Plebiscito è famosa tra i salernitani come Chiesa dei Morticelli, a causa anche della decorazione con scheletri in facciata, decorazione di chiara ispirazione controriformistica. La chiesa è uno dei pochi esempi tardorinascimentali in città con la pianta centrale sormontata da una cupola. Edificata in memoria della fine di una pestilenza che colpì Salerno, ha subito molte variazioni che non hanno però modificato l’impianto ottagonale della chiesa, che ha fatto pensare a una preesistenza di un battistero. Il portale d’ingresso, di impianto cinquecentesco è l’elemento più significativo dell’edificio. Nel 1615 divenne sede della Confraternita del Monte dei Morti, dedicata alle preghiere per le anime del Purgatorio. Attualmente è il quartier generale del collettivo Blam.