L’identità visiva del festival: in viaggio tra parole e segno con Peppe Durante

Oggi Salerno Letteratura Festival festeggia dieci anni di edizioni. Personalmente ho contribuito alla realizzazione della rassegna per nove anni, in quanto la prima edizione fu curata da Blustudio Sviluppi. Sono stati anni di assiduo lavoro, di continua ricerca, di costante miglioramento, ma anche anni vissuti con una forte motivazione: migliorarsi per far crescere il Festival.
Sin da subito, il mio obiettivo è stato quello di pensare al Festival Salerno Letteratura come ad un’azienda culturale e non come ad un evento culturale. Una grande differenza, che però presupponeva un progetto di lunga durata, così, come poi si è rivelato.
Dopo aver lavorato per i primi due anni sulla brand identity di Salerno Letteratura, con la terza edizione introduco l’immagine del nido (gli uccelli costruiscono il nido per proteggere le uova ed i propri piccoli in un posto sicuro); di qui la scelta di inserirlo nella S del logo, individuando il Festival Salerno Letteratura come una sorta di “spazio sicuro”, uno spazio anch’esso da proteggere.
Negli anni successivi, fino al 2019, è sempre stato il mare ad avermi ‘ispirato’ l’idea progettuale, ed a elaborarla come un’immagine non stereotipata ma aperta a nuove visioni, ad una comunicazione più emozionale, lontano dalla pura rappresentazione della realtà ma creando suggestioni che restano impresse nella memoria.
L’ispirazione per la settima edizione mi è venuta da un film del 2012 Il rosso e il blu del regista Giuseppe Piccioni e, precisamente, da una lezione di un vecchio professore di storia dell’arte (interpretato da un grande Roberto Herlitzka): «c’è qualcosa nell’arte, come nella natura del resto, che ci rassicura, e qualcosa invece che ci tormenta ci turba, ci rassicura un prato verde pieno di fiori, un cielo azzurro senza nuvole, ci turba l’immobilità di un lago, la violenza di una tempesta, ci placa la bellezza di una statua greca ci sgomenta il monaco di Friedrich solo dinanzi all’immensità del mare. Due sentimenti eterni in perenne lotta, la ricerca dell’ordine e il fascino del caos: dentro questa lotta abita l’uomo, abitiamo tutti, ordine e disordine. Cerchiamo regole, forme, canoni, ma non cogliamo mai il reale funzionamento del mondo, la vera forma di tutto quello che è fuori di noi e quello che è dentro di noi, e questo per gli uomini è un eterno mistero… e l’incapacità di risolvere questo mistero ci terrorizza, ci costringe ad oscillare tra la ricerca di un’armonia impossibile e l’abbandono al caos…».
La settima edizione, quindi, non poteva essere che un sogno, un amuleto, un porta fortuna: l’ambizione di imprigionare il lato oscuro dell’uomo, la tempesta interiore, per affermare se stessi. L’ottava edizione, un festival Perdurante, in ricordo del primo, indimenticabile, Direttore artistico, ma anche un modo per evidenziare la continuità del festival, a dispetto delle avversità. Poi, il COVID-19, ed una edizione scaramantica, la nona. Con la decima edizione il 10 di cuori viene considerato un numero perfetto, ma anche l’annullamento di tutte le cose, e, forse, la premessa di un nuovo inizio.

Devo ringraziare Ines Mainieri, Daria Limatola e i direttori artistici Gennaro Carillo e Paolo Di Paolo. Ma un ringraziamento ed un pensiero speciale va a Francesco Durante, primo Direttore artistico che mi segnalò ad Ines. Un grazie particolare a Michele Calocero per la fotografia.

Giuseppe Durante