Incontro con Michele Masneri, autore di Steve Jobs non
abita più qui (Adelphi)
Conduce Gennaro Carillo
Morto Arbasino, c’è rimasto lui, Michele Masneri, ad abbassare l’intensità retorica della California, a capovolgerne il sogno, a paragonare il sistema di saune della Steamworks di Berkeley a «vicoli tipo Positano o Cisternino», la costa tra San Francisco e Santa Cruz al Trentino, nel segno di un’Italia che il viaggiatore si porta appresso come uno stigma indelebile, ritrovando(se)la ovunque: ubiquitalia, verrebbe da dire, con la sua legge di gravità che in fondo vanifica l’esperienza stessa del viaggio. C’è tanta Italia, in quest’America di Masneri, con molti startupper italiani che, partiti per conquistare la Silicon Valley, si convertono a fare i pizzaioli, «forse guadagnandoci nella scelta». Ma c’è soprattutto una galleria di personaggi fantastici spesso non benché ma perché improbabili. E, in mezzo a loro, Jonathan Franzen, un Franzen di cui Masneri evidenzia il lato antimoderno, con un’ossessione ornitologica che rievoca quella di Pasolini per le lucciole. C’è poi Bret Easton Ellis, con le sue «dissolutezze sempre in bilico tra snuff movie 34 e foruncoli californiani e Xanax». E ci sono le cose, tante, 35 i feticci, le architetture, il Getty Center equiparato a un «falansterio». E, mischiati ai corpi di fabbrica, i corpi degli animali umani, le anatomie, gli odori…