Dieci anni di Salerno Letteratura: questa mattina l’inaugurazione istituzionale negli spazi di Santa Sofia ha visto la presenza di tanti amici del festival. «Tagliare questo traguardo è emozionante – ha sottolineato il direttore organizzativo Ines MainieriVoglio ringraziare tutte le persone che ci sostengono, a partire dal presidente della Regione Vincenzo De Luca». Un elemento ribadito anche da Gennaro Carillo, co-direttore artistico con Paolo Di Paolo, che ha chiarito l’importanza della rete, mentre Di Paolo ha voluto ricordare che dieci è un numero di bilanci, ma anche di rilancio. «Un nuovo inizio», ha commentato il sindaco Vincenzo Napoli, spiegando che ormai «Salerno Letteratura è diventato un appuntamento di qualità capace di richiamare tantissimi appassionati a Salerno». Per il presidente di Unioncamere Andrea Prete, «Salerno Letteratura deve crescere sempre di più, diventando come il festival del fumetto di Lucca, capace di muovere persone da tutta Italia», mentre il numero uno di Confindustria Antonio Ferraioli ha voluto puntare l’attenzione sulla necessità di stringere legami sempre maggiori tra cultura e imprese. Dopo il taglio del nastro, la parola è passata al giornalista Paolo Pagliaro che, insieme a Gennaro Carillo ha presentato il suo libro Cinque domande sull’Italia. I dilemmi di un Paese inquieto (Il Mulino). «Un libro dolente – ha detto Carillo – come del resto tutte le analisi più lucide sulla realtà. Una voce fuori dal coro, quella di Pagliaro, conosciuto per il suo Punto nell’ambito della trasmissione di Lilli Gruber Otto e Mezzo, visto che siamo abituati a talk show dove il chiacchiericcio prende abitualmente il sopravvento sulle azioni concrete. Pagliaro, invece, usando i numeri, ci fa sentire il metallo freddo della realtà, consegnandoci il ritratto di un Paese e anche il suo specchio rovesciato». Tantissimi i temi affrontati dal giornalista: «La società civile è incapace di elaborare una propria agenda. Siamo un Paese immobile. Nel libro cito un aneddoto relativo a uno studio fatto dalla Banca d’Italia: nella Firenze del 1500 le 20 famiglie più ricche erano quelle di oggi e lo stesso vale per le più povere. Non abbiamo di fatto imposte di successione e diamo per scontato il fatto di godere di ciò che ci lasciano i nostri genitori. Ma come diceva Einaudi, il rischio è che un nipote idiota erediti il patrimonio di un nonno intelligente». Poi l’appello: «Frequentate la vita vera», riferendosi a un abuso dei social e una profonda disamina di tutte le disuguaglianze che ci circondano: dalla sperequazione tra uomini e donne relativamente al mondo del lavoro, alla forbice generazionale che vede sempre più anziani e sempre meno giovani. Ma anche la dispersione scolastica, l’evasione fiscale, la contaminazione che esiste con la progressiva ondata di migranti e lo spopolamento delle aree interne. Un libro per andare oltre le banalità o il mainstream.