Otto anni.
A otto anni, Giancarlo De Cataldo aveva già le idee chiare. C’è l’ha raccontato ieri sera sul palco di Largo Barbuti. Ha capito che da grande non avrebbe fatto il calciatore, ha iniziato a leggere Salgari e Collodi, ha ascoltato il Falstaff trasmesso dalla radio in una notte di luna piena e ha iniziato a rincorre il suo demone.
Il demone di De Cataldo è il romanzo di formazione di un ragazzo che vuole prendersi il mondo. Il fatto, poi, che il padre, professore di francese, lo abbia avviato (lui dice costretto, ma questo è un dettaglio) alla lettura di Balzac, lo ha messo in condizione di frequentare, fin da piccolo, un mondo letterario che racconta i cambiamenti della società attraverso una scrittura, allo stesso tempo, alta e popolare.
Una sera De Cataldo incontra per strada una ragazza androgina, dallo sguardo indefinito, con i capelli corti e biondissimi. Quella ragazza sarebbe diventata Sharon, detta Sharo, per il mondo criminale romano: la svedese.
L’incipit del romanzo è un patto con il lettore. Un uomo è in carcere, chiede solo che la svedese muoia. Il teaser non alimenta misteri, chi ha il libro per le mani sa che sta per incontrare una donna si metterà nei guai. È proprio questo libera il lettore, gli permette di concentrarsi sulla caratterizzazione psicologica della protagonista della storia.
La svedese è una ragazza di borgata che per uno strano sliding door entra nel mondo dello spaccio, è una Cenerentola nera che si illude di padroneggiare il suo destino, è una ventenne che supera la linea d’ombra. E noi la vediamo entrare in una realtà dove fa a pugni per diventare quello che non è ancora.
C’e un principe, in La svedese, che tratta Sharo come Aschenbach tratta Tadzio in Morte a Venezia. C’è la droga. Ma non la cocaina, che pure ha attraversato pagine e pagine dei romanzi di De Cataldo. Qui c’è il GHB, la droga dello stupro, quella che disinibisce, che rende loquaci, che rilassa, che fa abbandonare chi l’assume in un cupio dissolvi lascivo e dannunziano. C’è la musica. De Cataldo utilizza sempre la musica nei suoi libri. In Romanzo criminale ha sdoganato Franco Califano, nella trilogia di Manrico Spinori ci ha raccontato come non ci sia condizione umana che non sia stata raccontata dal melodramma. In La svedese fa i conti con la trap. E c’è il Covid sullo sfondo, che sparge rabbia e insicurezza nei vicoli di Roma. Quella Roma che affascina gli scrittori di ogni tempo, fin da Tito Livio, per la sua inimitabile capacità di mescolare i nobili e la suburra.
Corrado De Rosa