«Il viaggio è un sogno, un mito, un processo di conoscenza che riguarda la crescita di una persona». Così Dacia Maraini ospite della seconda giornata di Salerno Letteratura. In una chiesa dell’Addolorata gremita, la scrittrice italiana più conosciuta e studiata, ha raccontato molto di se stessa e del suo rapporto con le valigie e la scrittura, in occasione della presentazione di Sguardo a Oriente, edito da Marlin, ex casa editrice Avagliano, che ha celebrato i primi quarant’anni del suo ricco catalogo. Una raccolta di reportage, ricordi e racconti relativi alle escursioni in giro per il mondo (Afghanistan, Cina, Corea, Giappone, India, Iran, Palestina, Pakistan, Siria, Tibet, Turchia, Vietnam, Yemen) in compagnia di Moravia, Callas e Pasolini. «Avevo una bisnonna inglese – racconta – che scriveva libri per bambini e una nonna che si infilava lo zaino in spalla e andava via, per confondersi tra la gente senza paura. Il viaggio è un rischio, non perché possa capitare qualcosa di brutto – continua – ma perché ti obbliga a confrontarti con culture diverse. A meno di non battere itinerari turistici il senso vero della partenza è l’incontro con altre culture. Per esempio, crescendo in Giappone, da bambina, ho avuto difficoltà a comprendere la differenza tra il politeismo e il monoteismo. Questo è il vero viaggio che mi ha insegnato mio padre: correre il rischio di mettere in discussione le proprie certezze». Nel viaggio c’è anche una lingua da metabolizzare e da scoprire. «Quando a dieci anni sono tornata dal Giappone, mi sentivo a tutti gli effetti una piccola giapponese e ho avuto un momento di afasia, perché parlare un’altra lingua non è un fatto meccanico, ma culturale. Se però si riesce a superare questo ostacolo, ci si arricchisce di qualcosa in più, perché si amplia il proprio modo di pensare. Questo ti insegna a dare più forza e più valore alle parole. Scrivere è un modo per fermare i ricordi, le emozioni, ma anche per toccare da vicino le spine del mistero».