Amleto De Silva è scomparso ieri, 29 dicembre. Lo ricordiamo con le parole che Barbara Cangiano ha scritto per lui.
Un Campari e jeans, come amava ripetere, tra una lettura di Donald Justice, lo straordinario e purtroppo sconosciuto poeta statunitense scoperto leggendo Hotel New Hampshire di Irving e il Vangelo di Kurt Vonneguth: “Nella vita bisogna essere buoni, cazzo”. Buono, come pochi, lo era davvero Amleto De Silva, scrittore e vignettista, intellettuale anticonformista, sopra le regole di un mondo che l’ha amato moltissimo o moltissimo detestato per il suo essere vero, sempre, al di là delle convenzioni. La sua scomparsa improvvisa, avvenuta nella notte tra sabato e domenica, ha lasciato tutti con il cuore in gola: chi aveva letto i suoi libri, chi lo seguiva con costanza sui social per le sue originali poesie rivisitate del buongiorno e i suoi commenti taglienti, chi lo ricordava ai tempi di Cuore e l’aveva ritrovato nelle vignette di Smemoranda. Era stato ospite di Salerno Letteratura per presentare il libro di Sergio Claudio Perroni, amico e fratello scomparso prematuramente, in una notte in un caffè salernitano dove si parlò di poesia e visioni. Alfonso Gatto nel cuore, per tradizione di famiglia e affinità elettiva: di qui la collaborazione costante con la Fondazione omonima presieduta da Filippo Trotta e la scrittura come barra al centro, perché De Silva le parole sapeva come usarle e infilarle una dietro l’altra per tenere incollato l’occhio di chi legge. I suoi corsi da Marea di Paolo Battista e Rosita Gigantino erano sempre affollati da giovani desiderosi di scoprirne i segreti, perché, come diceva sempre, “la scrittura si insegna a scuola, qui venite per leggere e per pensare”. Appassionato di cinema, è stato il primo in Italia a recensire in anteprima serie tv di successo e non, e la sua profonda conoscenza della musica lo portava a divertirsi a sentirsi “un Elvis”. A metà tra Joe Strummer e Cyrano de Bergerac, guardava a Clint Eastwood e Stephen King come due miti iconici da smontare e rimontare con la sua verve di un punk galantuomo, sempre pronto a dare una mano al prossimo. Dalla collaborazione con Enrico Montesano a decine di traduzioni, dalle vignette satiriche ai libri fuori dal comune, ha sempre saputo raccontare la realtà con l’occhio clinico di chi non ha mai voluto padroni perché, come ripeteva, “mi hanno insegnato a camminare a schiena dritta”. Con Rubbettino ha pubblicato Bocca mia mangia confetti e Una banda di scemi. Nello scorso mese di settembre ha partecipato al festival Sciabaca, promosso dalla stessa casa editrice tenendo un seguitissimo laboratorio dedicato ai ragazzi delle scuole superiori su Moby Dick. Per Le Flaneurs ha pubblicato un volume straordinario, Il pugilatore, dedicato alle mille vite di Sonny Liston, anche se i fan storici lo conoscono per i suoi primi libri come Stronzology, Degenerati, Statti attento da me e La nobile arte di misurarsi la palla. L’autoironia era il suo punto di forza, sintetizzabile nella battuta dell’uomo “che sa indossare”. Con lui, fratello dello scrittore Diego De Silva, da sempre vicino a Salerno Letteratura, se ne va un pezzo importante di cultura e uno sguardo critico su una realtà che non sempre ha voglia di pensare.